Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n.33424 in data 11.11.2022) in tema di patto di non concorrenza ai sensi dell’art. 2125 c.c., ci ricorda quali debbano essere i requisiti che deve possedere il corrispettivo dovuto al lavoratore ai fini della validità del patto, pena la sua nullità.
La pronuncia, al fine di valutare la validità del patto di non concorrenza in riferimento al corrispettivo dovuto, sottolinea che sono necessarie due verifiche che operano su piani distinti:
– dapprima occorre verificare che il corrispettivo, in quanto elemento distinto dalla retribuzione, che “lo stesso possieda i requisiti previsti in generale per l’oggetto della prestazione dall’art. 1346 c.c.” e cioè se sia determinato o determinabile;
– successivamente, accertato che il corrispettivo non sia viziato da indeterminatezza o indeterminabilità, “va verificato, ai sensi dell’art. 2125 c.c., che il compenso pattuito non sia meramente simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato, in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore ed alla riduzione delle sue capacità di guadagno...”, dato che l’eventuale sproporzione economica del patto determina la nullità dell’intero patto (cfr. Cass. n. 9790/2020).
Per quanto riguarda la prima verifica, ovvero quella sulla determinatezza o determinabilità del corrispettivo, la pronuncia conferma la possibilità di correlarlo alla durata del rapporto di lavoro dato che “la variabilità del corrispettivo rispetto alla durata del rapporto di lavoro non significa che esso non sia determinabile in base a parametri oggettivi”.
Va precisato, però, che la giurisprudenza, in alcuni casi, ha ritenuto che il corrispettivo erogato durante il rapporto di lavoro rende nullo il patto di non concorrenza in quanto, non essendo conoscibile ex ante la durata del rapporto di lavoro, l’emolumento è indefinito ed indeterminato.
Rispetto alla seconda verifica, ovvero quella relativa all’ammontare del corrispettivo del patto di non concorrenza e, nello specifico, alla sua congruità, si ribadisce il principio uniforme in forza del quale l’importo non può essere “simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore ed alla riduzione delle sue possibilità’ di guadagno”.
In altri termini, una volta appurata l’assenza di vizi circa la determinatezza o almeno la determinabilità del corrispettivo pattuito a fronte dell’accordo di non concorrenza tra datore di lavoro e lavoratore, occorre verificare che sussista il requisito della sua congruità.
Sotto questo profilo, posto che la normativa in materia non prevede ovviamente l’ammontare né un corrispettivo minimo, la verifica dovrà necessariamente essere compiuta con riferimento alle specifiche e concrete caratteristiche del vincolo assunto dal lavoratore e, in questo senso, maggiori sono le limitazioni imposte al lavoratore dal patto – in termini di oggetto, di estensione territoriale e di durata – e maggiore dovrà essere l’importo riconosciuto a titolo di corrispettivo a fronte della limitazione dell’attività lavorativa dettata dal patto di non concorrenza.
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