Con il presente contributo, si intende offrire un quadro – necessariamente di sintesi e generale – in merito al vasto contenzioso in essere tra Poste Italiane S.p.a. (“Poste”) ed un significativo – e sempre crescente – numero di sottoscrittori di taluni Buoni Fruttiferi Postali (“BFP”) emessi dalle stesse Poste a cavallo tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90.
Un contenzioso, questo, che si trascina ormai da diversi lustri, senza che le decisioni via via assunte, sia in sede arbitrale (e, in particolare, in sede di Arbitrato Bancario Finanziario: “ABF”) che giudiziale, ancorchè tendenzialmente sfavorevoli alla posizione assunta da Poste, abbiano indotto quest’ultima a rivedere il proprio atteggiamento di totale chiusura rispetto alle istanze dei sottoscrittori dei BFP di cui si tratta.
Il caso
Con il decreto ministeriale del 13.06.1986 (il “DM 1986”) veniva istituita la serie Q dei BFP trentennali e veniva altresì consentito alla stessa Poste di emettere detti BFP utilizzando i moduli cartacei appartenenti alla precedente serie P, purchè su detti moduli venissero apposti due timbri: uno sul fronte, indicante la nuova serie “serie Q/P” ed uno sul retro, riportante i nuovi rendimenti (inferiori, a quelli della precedente serie P”).
Nel corso degli anni, a partire dal 1986, Poste provvedeva quindi ad emettere un gran numero di questi BFP.
Nel momento in cui, tuttavia, i BFP della serie Q/P hanno iniziato ad andare in scadenza e, quindi, Poste ha dovuto provvedere al relativo rimborso in favore dei sottoscrittori, si è riscontrata la problematica che – ancora oggi – è al centro delle vertenze tra Poste ed i risparmiatori. Ed infatti, il timbro (contenente i nuovi tassi della serie Q) che Poste provvedeva ad apporre sul retro del modulo cartaceo dei precedenti BFP della serie P, sovrapponendolo ai tassi riconosciuti da quest’ultima serie (a loro volta stampati sul modulo della serie P), riportava i (nuovi) tassi per i soli primi venti anni; mentre lasciava invariata la dicitura (precedente) in relazione agli ultimi dieci anni (che riconosceva un importo fisso per ogni bimestre). Allorquando si provvedeva al rimborso dei BFP della serie Q/P, quindi:
• da un lato, Poste riteneva – e ritiene tutt’oggi – di dover riconoscere i rendimenti – per tutti e 30 gli anni – della nuova serie Q; mentre,
• dall’altro lato, i sottoscrittori dei buoni, ferma l’applicabilità dei nuovi rendimenti per i primi venti anni (nella maggior parte dei casi), riteneva che per gli ultimi dieci anni dovessero essere applicati i tassi risultanti dal tenore letterale del buono: ovvero quelli della precedente serie P, non cancellati, né modificati dal timbro apposto da Poste sul modello dei buoni.
In considerazione della palese divergenza ed inconciliabilità delle due posizioni di cui si è appena riferito, la misura del rimborso dei BFP della serie Q/P, per gli ultimi dieci anni della loro durata, è l’oggetto principale e specifico di tutte le vertenze che, in modo progressivamente crescente, hanno iniziato e continuano tutt’oggi ad essere promosse dai sottoscrittori dei BFP della serie Q/P nei confronti di Poste. Vertenze, queste, che hanno ormai raggiunto un numero consistente e rispetto alle quali sia l’ABF che la giustizia ordinaria hanno avuto modo di pronunciarsi diffusamente, prendendo posizione sulle
diverse tesi delle parti e dando origine ad un indirizzo che, salvo le naturali eccezioni, si presenta pressochè costante o, comunque, largamente maggioritario.
In linea di massima, infatti, come peraltro si può evincere dal significativo numero di decisioni dell’ABF cui Poste non ha ottemperato (presenti nell’apposita sezione “intermediari inadempienti” del relativo sito dell’ABF), oltre che da una ricerca giurisprudenziale, sia le decisioni in sede arbitrale che quelle emesse dalla giustizia ordinaria presentano una forte tendenza ad assecondare le rimostranze dei sottoscrittori dei BFP piuttosto che a ritenere fondate le difese e le argomentazioni di Poste.
Le difese di Poste Italiane S.p.a.
Nei numerosi contenziosi con cui i sottoscrittori dei BFP della serie Q/P hanno contestato la misura del rimborso riconosciuto in loro favore da Poste, quest’ultima – pur con le dovute eccezioni e peculiarità di ogni caso concreto – ha ormai sviluppato delle difese che si fondano spesso sui medesimi presupposti, tanto da apparire sostanzialmente standardizzate.
Per quanto riguarda, in particolare, i procedimenti promossi avanti all’ABF, Poste muove le proprie contestazioni, abitualmente, sul presupposto che lo stesso sia incompetente sia ratione temporis che per materia.
L’eccezione di incompetenza ratione temporis dell’Arbitro, usualmente sollevata da Poste, si fonda sul fatto che la competenza di quest’ultimo può avere ad oggetto soltanto “operazioni o comportamenti verificatisi a partire dal 1 gennaio 2009” mentre, solitamente, i BFP di cui si discute sono stati emessi ben prima di quella data. In estrema sintesi, quindi, ai fini di detta eccezione, Poste valorizza il fatto che le contestazioni dei sottoscrittori atterrebbero ad un vizio genetico dei BFP, presente ab initio e che, conseguentemente, la data da prendere in considerazione sia quella della loro emissione/sottoscrizione (solitamente, come detto, precedente al 01.01.2009) e non quella del relativo rimborso (solitamente successiva alla data dal 01.01.2009).
Per quanto riguarda, poi, l’eccezione di incompetenza per materia, la tesi di Poste è quella di inquadrare i BFP nell’alveo dei prodotti finanziari, interamente disciplinati dalla normativa di carattere speciale e sottratti – quindi – alla disciplina della trasparenza bancaria latu sensu intesa.
Per quanto riguarda, poi, più propriamente il merito della questione, Poste difende la legittimità della propria condotta (costituita dal rimborsare i BFP, per tutti e trenta gli anni di durata, sulla base dei rendimenti della nuova serie Q) sostenendo di aver esattamente conformato la propria condotta a quanto stabilito dal DM 1986 e che, pertanto, l’aver apposto i due timbri ivi previsti, comporti la piena legittimità del rimborso dei BFP sulla base dei soli tassi previsti dalla serie Q. Tesi, questa, che ad avviso di Poste sarebbe altresì suffragata:
• dal fatto che l’art. 5 del DM 1986 prevedeva che, con l’apposizione dei due timbri di cui sopra, i moduli dei buoni della serie P sarebbero stati sono giuridicamente a tutti gli effetti, titoli della nuova serie ordinaria Q, quindi, anche e soprattutto con riferimento alle condizioni economiche previste dal DM 1986 per la serie “Q”;
• dal disposto dell’art. 1342 co. 1 c.c., posto che i tassi aggiunti con il timbro correttivo fossero/siano incompatibili con quelli originariamente indicati nel modulo della serie “P”, visto che il DM 1986 ha individuato i nuovi tassi in sostituzione dei precedenti;
• dal fatto che sarebbe impossibile adottare una soluzione ibrida, contemplante il riconoscimento di determinati tassi per una parte del rapporto (i primi venti anni) e di tassi diversi per l’ulteriore parte (gli ultimi dieci anni);
• dalla circostanza per cui la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del DM 1986 avrebbe assolto pienamente alla funzione di trasparenza nei confronti dei risparmiatori, che, quindi, non potrebbero appellarsi alla non conoscibilità delle condizioni di rimborso sottostanti i BFP;
• dall’ulteriore ragionamento per cui:
o posto che sia la serie P che la serie Q (e relative tabelle) prevedevano soltanto quattro diversi saggi di interesse, e che in entrambe le serie, ancorchè i tassi fossero differenti, gli stessi prevedevano un interesse annuo composto per i primi venti anni (che comportava un importo annuo crescente) ed un interesse semplice per gli ultimi dieci anni (comportante un importo bimestrale fisso);
o l’importo fisso bimestrale riconosciuto per gli ultimi dieci anni nella serie P altro non era che l’applicazione, per gli ultimi dieci anni, dello stesso tasso di interesse applicato per il 20° anno (ma) calcolato sulla base dell’interesse semplice (e non più composto, come per i primi venti anni);
doveva essere evidente che, anche per la nuova serie Q, per gli ultimi dieci anni si sarebbe applicato lo stesso metodo: ovvero importo fisso bimestrale calcolato sulla base del tasso del ventesimo anno.
L’indirizzo maggioritario dell’ABF e della giustizia ordinaria
Come detto, nella stragrande maggioranza delle decisioni assunte dall’ABF e della giustizia ordinaria, le difese opposte da Poste alle richieste dei sottoscrittori di BFP sono state per lo più disattese; ancorchè non siano mancate decisioni favorevoli alla stessa Poste, le quali, tuttavia, paiono oggettivamente episodiche e poco persuasive.
Per quanto riguarda l’eccezione di incompetenza ratione temporis dell’Arbitro, abitualmente sollevata da Poste, si può evidenziare che la stessa venga puntualmente disattesa dall’ABF.
Fermo il principio generale affermato dall’ABF, per cui “in caso di controversie aventi ad oggetto un rapporto negoziale sorto anteriormente al 1° gennaio 2009 ma ancora produttivo di effetti successivamente a tale data, occorre avere riguardo al petitum onde verificare se esso sia fondato su vizi genetici (dando così luogo all’incompetenza temporale), ovvero su contestazioni attinenti effetti del negozio giuridico prodottisi dopo il 1° gennaio 2009 (sussistendo allora la competenza dell’ABF)”, l’indirizzo assolutamente costante e consolidato dell’Arbitro in relazione alle controversie come quella di cui si discute è quello per cui “nell’ipotesi di controversia riguardante un rapporto negoziale sorto anteriormente all’1.01.2009, ma ancora produttivo di effetti dopo tale data, sussiste la competenza dell’ABF quando la domanda di parte ricorrente verte su contestazioni attinenti gli effetti del negozio giuridico verificatisi dopo tale data (v., da ultimo, Collegio di Roma, decisione n. 11045/2020; cfr. pure Collegio di coordinamento, decisione n. 72/2014). Pertanto, qualora la controversia – come nel caso di specie – riguardi la modalità di calcolo dei rendimenti di un BFP all’atto della richiesta di rimborso del titolo e ferma la validità dello stesso, è rispetto a tale momento – e non alla data di emissione del buono – che si deve determinare la competenza temporale dell’ABF” (v. ex multis, Decisione ABF n. 23401 del 15.11.2021).
Anche l’eccezione di incompetenza per materia, abitualmente sollevata da Poste, ha (sostanzialmente sempre) trovato costante opposizione da parte dell’ABF.
A tal proposito, si condivide il pregnante ragionamento effettuato, sul punto, dall’ABF, con la decisione 19803 del 03.09.2021): “a sostegno dell’applicazione della disciplina della trasparenza bancaria alla fattispecie de quo, vale la pena richiamare l’art. 2, comma 6, d.p.r. 14 marzo 2001, n. 144, in materia di servizi di bancoposta, ai sensi del
quale «il risparmio postale è disciplinato (…) dalle norme del testo unico bancario, ove applicabili». A ulteriore conferma dell’applicabilità della suddetta disciplina, appare significativo, da un lato, che la Corte di Cassazione a SS.UU. (con sentenza n. 13979/2007) ha espressamente rilevato che i BFP, «per struttura e funzione, sostanzialmente non si discostano dagli analoghi servizi resi sul mercato delle imprese bancarie (cfr. Corte Cost. n. 463 del 1997)»; dall’altro lato, che la Corte Costituzionale (con sentenza n. 26/2020) ha recentemente rigettato la questione di legittimità dell’art. 173 d.p.r. 156/1973 (in tema di variazione dei rendimenti dei BFP), sollevata con riferimento, fra gli altri parametri normativi, agli artt. 117 e 118 t.u.b., riconoscendo implicitamente la pertinenza delle norme sulla trasparenza bancaria alla materia trattata. Infine, va detto che la diversa ricostruzione proposta dall’intermediario resistente, volta ad assimilare i Buoni Fruttiferi Postali ai prodotti finanziari, non appare convincente vuoi per ragioni di stretto diritto positivo vuoi per ragioni di carattere dogmatico. Sul piano del diritto positivo, può osservarsi che l’art. 1, comma 1, lett. u), t.u.f. esclude dalla categoria dei prodotti finanziari i depositi bancari o postali non rappresentati da strumenti finanziari, ai quali invero vanno assimilati i Buoni Fruttiferi Postali (e v. l’art. 2, comma 2, d.lgs. n. 284/1999). D’altra parte, l’art. 2, comma 6, d.p.r. 14 marzo 2001, n. 144 prevede l’applicabilità al risparmio postale di una serie circoscritta di norme del t.u.f. e solo previo superamento del vaglio di compatibilità. Sul piano dogmatico, infine, va ricordato che, ai sensi del citato art. 1, comma 1, lett. u), t.u.f. sono prodotti finanziari, oltre agli strumenti finanziari, le altre forme di investimento di natura finanziaria. Al riguardo, è condivisa dalla Consob, dalla giurisprudenza e dalla dottrina la lettura che ritiene insito nel concetto di «investimento di natura finanziaria» l’elemento dell’assunzione da parte dell’“investitore” di un rischio legato all’impiego di un capitale e alla possibile perdita dello stesso (cfr. Consob, comunicazione n. DTC/13038246 del 6 maggio 2013; Cassazione civile, sentenza n. 2736/2013). Ed invero, il Buono Fruttifero Postale sembrerebbe
difettare di tale elemento e, dunque, della finalità di investimento finanziario, risultando non assimilabile, in senso tecnico, a un prodotto finanziario.”.
A ciò si aggiunga, altresì, che la delibera CICR n. 275 del 29.07.2008, così come le Disposizioni della Banca d’Italia sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari del 18 giugno 2009 e i successivi aggiornamenti, ricomprendono tra gli intermediari «Poste Italiane S.p.A. in relazione all’attività di bancoposta»; e che nell’ambito dell’attività di bancoposta rientra, ai sensi del D.P.R. 14 marzo 2001, n. 144, “Regolamento recante norme sui servizi di bancoposta”, la raccolta del risparmio postale mediante il collocamento di buoni fruttiferi postali (cfr. ex multis, Collegio di Roma, decisione n. 3226/2014 e Collegio di Milano, decisione n. 1846/2011).
Per quanto riguarda, infine, il merito della questione, a partire dalla nota sentenza della Cassazione a Sezioni Unite 13979/2007, sia la giustizia ordinaria che l’ABF hanno manifestato di voler dare prevalenza, in relazione a detta questione, al dato letterale del BFP ed all’affidamento del risparmiatore, rispetto alle prescrizioni ministeriali di cui al DM 1986: “La discrepanza tra le prescrizioni ministeriali e quanto indicato sui buoni offerti in sottoscrizione dall’ufficio ai richiedenti può […] rilevare per eventuali profili di responsabilità interna all’amministrazione, ma non può far ritenere che l’accordo negoziale, in cui pur sempre l’operazione di sottoscrizione si sostanzia, abbia avuto ad oggetto un contenuto divergente da quello enunciato dai medesimi buoni”.
Anche la successiva sentenza della Cassazione (sempre) a Sezioni Unite n. 3963/2019 ha sostanzialmente ribadito il summenzionato principio, confermando integralmente l’impianto della summenzionata pronuncia. Circostanza, questa, peraltro evidenziata a più riprese allorquando Poste ha tentato di interpretare il
contenuto della sentenza Cass. SS.UU. 3963/2019 in senso favorevole alle proprie tesi.
Da questo punto di vista, merita di essere certamente menzionata la decisione del Collegio di coordinamento ABF che, con la decisione 6142 del 3 aprile 2020, ha rimarcato che: “la recente pronuncia delle SS. UU. n. 3963/2019, lungi dall’operare un revirement rispetto a Cass. SS.UU. n. 13979/2007, ne ha piuttosto fedelmente riproposto l’impostazione. Ed infatti, muovendosi nel solco argomentativo della decisione n. 13797/2007, le SS. UU., ribadita la qualificazione dei titoli in discorso quali documenti di legittimazione ex art. 2002 c.c., si sono limitate ad affermare, senza contraddire la precedente decisione, <la soggezione dei diritti spettanti ai sottoscrittori dei buoni postali alle variazioni derivanti dalla sopravvenienza dei decreti ministeriali volti a modificare il tasso di interessi originariamente previsto>, specificando che siffatta modificazione trova <ingresso all’interno del contratto, mediante una integrazione del suo contenuto ab externo secondo la previsione dell’art. 1339 c.c.>. Nulla hanno viceversa ritenuto di aggiungere in ordine al principio enucleato dalla pronuncia del 2007 – che resta pertanto impregiudicato – in relazione alla diversa fattispecie di BFP sottoscritti successivamente all’emanazione di un D.M. modificativo dei rendimenti dell’investimento, quando questi ultimi risultino difformi a quelli riportati sul titolo” […] il condivisibile inquadramento dei buoni fruttiferi postali nell’ambito della categoria dei documenti di legittimazione (v., oltre a Cass. SS.UU. n. 13979/2007, Cass. n. 27209/2005; ed ora, Coll. di Coordinamento n. 22747/2019) se, per un verso, esclude che agli stessi possano attagliarsi i principi di incorporazione e di letteralità (completa) propri dei titoli di credito astratti, rendendo così il diritto alla prestazione ivi documentato suscettibile di essere successivamente etero-integrato in coerenza con lo specifico regime contrattualmente convenuto dalle parti al momento della emissione, per altro verso, impedisce di considerare per sua natura non vincolante quanto riportato sulla
lettera dei buoni in ordine alla determinazione della prestazione dovuta dall’intermediario, affidandola sempre alla disciplina legale del rapporto su cui si fonda l’emissione del buono, alla stregua di un titolo di credito causale (art. 1996 c.c.)”.
Come, quindi, correttamente rilevato da molteplici decisioni dell’ABF: “il Collegio di coordinamento […] enuncia il seguente principio di diritto: ‘Nella disciplina dei buoni postali fruttiferi dettata dal testo unico approvato con il D.P.R. 29 marzo 1973 n. 156, il vincolo contrattuale tra emittente e investitore si articola sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta sottoscritti. Resta ferma la possibilità che i buoni vengano integrati e/o modificati ai sensi dell’art. 1339 c.c., sotto il profilo della determinazione dei rendimenti, da provvedimenti della Pubblica Autorità, purché successivi alla sottoscrizione dei titoli.’. Alla luce di quanto sopra esposto, nel caso di specie emerge che l’intermediario, nonostante quanto previsto dal D.M. del 13.6.1986, non ha diligentemente incorporato nel testo cartolare le complete determinazioni ministeriali relative al rendimento del titolo, mancando nel timbro apposto sul retro del Buono in questione la parte relativa al periodo dal 21° al 30° anno e ingenerando pertanto nei sottoscrittori l’affidamento in ordine al non mutamento dei rendimenti indicati originariamente sul retro del BPF, in termini di importi assoluti, in relazione al periodo successivo al 20° anno dall’emissione.” (v. ex multis Decisione ABF 19803 del 3 settembre 2021).
In Conclusione
Dall’esame della giurisprudenza, quindi, si può concludere – in estrema sintesi – che l’indirizzo assolutamente predominante (salvo sporadiche eccezioni) è quello per cui, da un lato, Poste non abbia diligentemente incorporato nel testo dei buoni le indicazioni ministeriali (per la parte relativa all’ultimo periodo decennale di validità dei BFP trentennali) e, dall’altro, che in relazione ai BFP emessi
successivamente all’emanazione del DM 1986, il dato letterale debba assolutamente prevalere, posto che l’omissione di cui sopra ha ingenerato l’affidamento dei risparmiatori a vedersi riconoscere i rendimenti riportati sul titolo: “qualora il buono fruttifero sia stato emesso successivamente all’emanazione del decreto ministeriale modificativo dei tassi, il sottoscrittore abbia potuto legittimamente fare affidamento sulla validità dei tassi di interesse riportati sul titolo e che tale legittimo affidamento meriti di essere tutelato, facendo applicazione delle condizioni riportate sul titolo stesso. L’intermediario che non ha provveduto a modificare le risultanze scritturali del titolo, sulla base del più volte richiamato decreto ministeriale, anche in relazione al periodo intercorrente fra il ventunesimo e il trentesimo anno va considerato negligente, con la conseguenza che, per tale periodo, il rimborso dovrà avvenire secondo i tassi originari riportati sul titolo (in tal senso v., per esempio, Collegio di Roma, decisioni n. 15200/2018, n. 19053/2018 e n. 2382/2018; Collegio di Torino, decisione n. 3226/2018 e n. 14480/2017)”.
Come detto in apertura, la questione relativa ai BFP trentennali della serie Q/P è quanto mai aperta posto che, da un lato, il significativo numero di decisioni favorevoli incoraggia sempre più risparmiatori a tentare di ottenere rimborsi maggiori di quelli ottenuti e, dall’altro, Poste sembra continuare a restare ferma sulla propria posizione, incoraggiata, a sua volta, da talune decisioni che, sporadicamente, tentano di determinare un’inversione di tendenza rispetto ad un indirizzo che, tuttavia, come detto, è ad oggi assolutamente predominante.
Naturalmente, è d’uopo precisare che quanto riportato nel presente contributo non può che avere un carattere estremamente generale in merito ad una questione comunque complessa e che ogni questione presenta proprie peculiarità e specificità, meritevoli di essere singolarmente esaminate e valutate.
Per ogni approfondimento sulla questione lo Studio resta a disposizione all’indirizzo e-mail segreteria@margiottalegal.it.