Come ormai noto, fra gli illeciti rilevanti ai sensi del D.lgs. 231/2001 in materia di responsabilità amministrativa degli enti, vi rientrano anche alcune fattispecie previste dal D.lgs. 74/2000 – “Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205” – e, in particolare:
a) Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2, co. 1 e co. 2 bis);
b) Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3);
c) Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8, co. 1 e co. 2 bis);
d) Occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10);
e) Dichiarazione infedele (art. 4);
f) Omessa dichiarazione (art. 5).
Sotto il profilo della responsabilità amministrativa degli Enti per i reati di frode fiscale è intervenuta di recente la prima pronuncia giurisprudenziale in materia: la Sentenza della Corte di Cassazione – n. 16302 pubblicata dalla 3^ sezione penale il 28.04.2022 –si è infatti pronunciata, con riferimento ad un provvedimento cautelare reale, sul rapporto tra i reati tributari, di cui al D. lgs. 10 marzo 2000, n. 74, e la responsabilità delle persone giuridiche, ex D. lgs. 8 giugno 2001, n. 231.
Nei fatti veniva contestato ai manager societari coinvolti nella frode di cui all’art. 2 del D.lgs. 74/2000 di aver agito proprio nell’interesse e a vantaggio della società da loro rappresentata.
La vicenda passata al vaglio della Corte aveva a riguardo una situazione in cui, nella sostanza, fra la società committente e le società appaltanti non si sarebbero mai instaurati contratti di appalto genuini, quanto piuttosto delle mere somministrazioni illegali di manodopera da parte delle cooperative, perfezionatesi per il tramite del consorzio che si interponeva fittiziamente in tale rapporto.
Con ciò, la società committente aveva utilizzato la manodopera suddetta con rapporti assimilabili, di fatto, al lavoro dipendente. Dunque, le fatture che venivano emesse dalle società consorziate erano giuridicamente qualificabili come oggettivamente inesistenti e la detrazione dell’IVA operata era da considerarsi un vantaggio fiscale illegittimo.
Sul punto la Corte di Cassazione, afferma che: «La giurisprudenza di legittimità ha precisato come nell’interposizione di manodopera, se vi è illiceità dell’oggetto e se la natura del contratto tra committente e datore di lavoro terzo è fittizia, il committente, non solo non potrà detrarre l’Iva, ma avrà anche l’obbligo di eseguire degli adempimenti fiscali in qualità di sostituto d’imposta. Nel pervenire a tali conclusioni, è stato affermato che, in tema di divieto d’intermediazione di manodopera, in caso di somministrazione irregolare, schermata da un contratto di appalto di servizi, va escluso il diritto alla detrazione dei costi dei lavoratori per invalidità del titolo giuridico dal quale scaturiscono, non essendo configurabile una prestazione dell’appaltatore imponibile ai fini Iva».
La Suprema Corte aggiunge: «Più in generale, sul tema dell’indetraibilità dell’Iva, la giurisprudenza penale di legittimità (ex multis, Sez. 3, n. 42994 del 07/07/2015, De Angelis, in motiv.), in conformità ai principi affermati dalla giurisprudenza tributaria, ha chiarito che, anche nel caso di emissione della fattura per operazioni soggettivamente inesistenti, viene a mancare lo stesso principale presupposto della detrazione dell’Iva, costituita dall’effettuazione di un’operazione, giacché questa (riferendosi il d.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1, all’imposta relativa alle “operazioni effettuate”) deve ritenersi carente anche nel caso in cui i termini soggettivi dell’operazione non coincidano con quelli della fatturazione. Come è stato reiteratamente precisato dalla Sezione tributaria di questa Corte (ex multis, Sez. 5, n. 23626 del 11/11/2011) la previsione del d.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7 – secondo la quale, se vengono emesse fatture per operazioni inesistenti, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura – è esplicita nel senso di imporre il versamento dell’imposta, ma di precluderne la detrazione».
Si badi, invero, come il beneficio della detrazione dell’IVA non sia accordabile laddove dimostrabile che lo stesso beneficio venga invocato dal contribuente fraudolentemente o abusivamente.
In merito quindi alla responsabilità ex D. lgs. 231/2001 la Suprema Corte afferma che: «Stando alle risultanze investigative, come compendiate nell’ordinanza impugnata, si è cioè realizzato uno schema in forza del quale il committente, attraverso un appalto non genuino, ha azionato il diritto alla detrazione dell’Iva dopo aver articolato un meccanismo in forza del quale, attraverso il pagamento di fatture per “finti” appalti di opere e servizi, ha “scaricato” l’Iva da un consorzio che, a sua volta, ha “scaricato” il tributo dalle cooperative consorziate che l’avrebbero dovuto versare allo Stato ed invece, dopo qualche anno, hanno cessato l’attività, rimanendo in debito verso l’erario, che è risultato impedito nel recupero dell’imposta, con conseguente accollo dell’evasione fiscale alla collettività. Anche alla luce di ciò, deve pertanto ritenersi che ricorrono, per quanto qui interessa, tutti i presupposti fattuali e giuridici della ipotizzata responsabilità della società ricorrente ai sensi dell’art. 25-quinquiesdecies D. lgs. n. 231 del 2001, risultando infondato il primo motivo di ricorso e manifestamente infondati o non consentiti gli altri».
La sentenza è pertanto destinata a far discutere a lungo, posto che lo schema contrattuale descritto e censurato dalla pronuncia è molto diffuso in alcuni settori, tra i quali sicuramente può annoverarsi quello della logistica: sarà pertanto particolarmente importante per la committenza, oltre ad una corretta redazione dei testi contrattuali, la scelta di partner affidabili e il costante monitoraggio della correttezza degli adempimenti sottesi al rapporto instaurato.
Lo studio resta a disposizione per i chiarimenti e gli approfondimenti del caso.