E’ purtroppo noto a tutti i principali comparti dell’economia, dal settore primario, all’industria fino ai servizi, che dallo scorso anno i prezzi delle commodity energetiche sono cresciuti progressivamente, raggiungendo livelli critici già a dicembre 2021, e subendo ulteriori rialzi a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina.
Le aziende industriali italiane che hanno in portafoglio commesse di lunga durata, oltretutto, si trovano in situazioni di svantaggio competitivo rispetto a imprese anche europee il cui Stato ha già adottato misure incisive in loro sostegno.
In questo scenario, in assenza di interventi strutturali “dall’alto”, non resta per i privati che provare a tutelarsi autonomamente per evitare di soccombere nella giungla del mercato dell’energia: diventa pertanto fondamentale conoscere quali rimedi contrattuali possono essere adottati e quali previsioni normative possono essere invocate, al fine di ottenere un riequilibrio delle prestazioni delle parti, cercando comunque di salvaguardare relazioni commerciali costruite faticosamente e consolidatesi nel tempo.
In tale ottica, occorre innanzitutto verificare se il contratto stipulato tra le parti contenga una clausola di revisione prezzi. Tali clausole -la cui presenza deve ritenersi ormai imprescindibile nella fase di contrattualizzazione, data l’instabilità e la volatilità del mercato- prevedono un adeguamento automatico del prezzo dei prodotti al ricorrere di un dato incremento dei costi di produzione o, più in generale, consentono al venditore di modificare i prezzi nel corso del rapporto.
Analogamente va verificato se il contratto contiene una clausola c.d. di hardship. Le richiamate clausole nascono nella prassi del commercio internazionale e approntano rimedi azionabili dalle parti nel caso in cui la prestazione di una di esse, pur potendo essere eseguita, divenga eccessivamente onerosa a causa del sopraggiungere di eventi eccezionali e imprevedibili. I rimedi normalmente previsti nelle clausole di hardship consistono nella risoluzione del contratto o, più ricorrentemente, nella rinegoziazione delle condizioni contrattuali. In quest’ultimo caso, con la clausola di hardship le parti: a) si impegnano, per il caso in cui una prestazione sia divenuta eccessivamente onerosa, ad avviare in buona fede le trattative per l’adeguamento delle condizioni contrattuali; b) disciplinano a monte le conseguenze dell’eventuale mancato raggiungimento di un accordo.
La predisposizione di apposite clausole di revisione dei prezzi e di hardship costituisce, quindi, evidentemente e indubbiamente una best practice nella redazione dei contratti di impresa, nazionali e internazionali, rappresentando un rimedio alquanto efficace (e allo stato imprescindibile) per gestire le sopravvenienze che incidono sull’equilibrio del contratto.
In assenza nelle pattuizioni di una clausola di revisione prezzi e/o di una clausola di hardship, è necessario verificare se la legge applicabile al rapporto preveda rimedi legali per la fattispecie.
Qualora il rapporto contrattuale sia regolato dalla legge italiana, la stessa prevede tre rimedi legali:
- l’articolo 1467 cod. civ., che regola l’eccessiva onerosità sopravvenutanei contratti ad esecuzione continuata, periodica o differita;
- l’articolo 1664 cod. civ. che regola l’onerosità dei contratti di appalto;
- l’articolo 1375 cod. civ. che regola la buona fede nella esecuzione del contratto.
Nello specifico:
- a) L’articolo 1467 cod. civ., in materia di eccessiva onerosità sopravvenuta, prevede che la parte colpita da un evento straordinario e imprevedibile che ha reso la sua prestazione eccessivamente onerosa, possa adire l’autorità giudiziaria per richiedere la risoluzione del rapporto contrattuale, a condizione che dia prova della sussistenza dei presupposti stabiliti dallo stesso articolo 1467. La parte contro la quale è domandata la risoluzione, se ha interesse al mantenimento del rapporto contrattuale, può offrire di modificare equamente le condizioni del contratto.
In base all’art. 1467 cod. civ. la parte colpita dall’evento straordinario non può richiedere e/o ottenere una modifica delle condizioni contrattuali, ma solo sottrarsi all’esecuzione del contratto, invocandone la sua risoluzione.
- b) L’articolo 1664 cod. civ., in materia di contratto di appalto, consente all’appaltatore di chiedere la revisione del prezzo, ma solo se l’aumento del prezzo delle materie prime sia tale da determinare un aumento superiore al 10% del prezzo convenuto per l’opera appaltata. Va tenuto presente che la revisione del prezzo verrà accordata solo per la differenza che eccede il 10%.
- c) Infine, buona parte della giurisprudenza ha individuato un obbligo di rinegoziazione in capo a entrambe le parti, quale declinazione del generale dovere di buona fede nell’esecuzione del contrattosancito dall’art. 1375 cod. civ., a fronte di rapporti colpiti da sopravvenienze sperequative, anche alla luce di quanto previsto dai Principi Unidroit per i contratti internazionali -in pratica, si afferma l’obbligo delle parti di rinegoziare il contratto per ricondurlo ad equità, laddove si sia verificata un’alterazione dell’originario equilibrio contrattuale dovuta a circostanze sopravvenute e imprevedibili al momento della stipula-.
In tale contesto, si veda che, con la recente sentenza n.316/2021 del 26 gennaio 2022, il Tar Molise ha considerato che l’aumento del prezzo dell’energia comporta “l’insostenibilità sopravvenuta dell’offerta” e il conseguente squilibrio del sinallagma contrattuale, tale da imporre alla stazione appaltante il riesame delle procedure ad evidenza pubblica, essendo mutate nel tempo, per motivi non imputabili alla ricorrente, le condizioni economiche del contratto.
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