Il 17 marzo scorso il Governo ha licenziato, in esame preliminare tramite l’atto 374, lo schema di decreto legislativo che, recependo la Direttiva (UE) 2019/1023, ha apportato una serie di modifiche al codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14).
La Direttiva (c.d. “Insolvency”), costituita da sei titoli, ha l’obiettivo principale di garantire «alle imprese e agli imprenditori sani che sono in difficoltà finanziarie la possibilità di accedere a quadri nazionali efficaci in materia di ristrutturazione preventiva che consentano loro di continuare a operare, agli imprenditori onesti insolventi o sovraindebitati di poter beneficiare di una seconda opportunità mediante l’esdebitazione dopo un ragionevole periodo di tempo, e a conseguire una maggiore efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, in particolare attraverso una riduzione della loro durata» (Considerando n. 1).
Con questo approfondimento affrontiamo due principali novità introdotte dallo schema di decreto legislativo: (i) la nuova definizione di «crisi» e (ii) i nuovi assetti amministrativi da istituire per rilevare tempestivamente la crisi.
Stante la complessità della riforma e, in generale, della nuova disciplina del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, rinviamo ad altri approfondimenti le ulteriori analisi e considerazioni sul nuovo impianto del diritto concorsuale.
La nuova definizione di «crisi»
In primo luogo, all’art. 1, il Governo propone di riscrivere il concetto di «crisi»: essa è intesa come «lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi». Il legislatore, quindi, punta ad oggettivizzare il concetto di crisi, precisando l’arco temporale – di un anno – in cui le obbligazioni non possono essere rispettate, anzi, fronteggiate.
Si passa, quindi, dalla locuzione «obbligazioni pianificate» ad un concetto volutamente generalizzato che investe tutte le obbligazioni in scadenza nell’arco di un anno. Evidentemente, il legislatore comunitario prima, e quello italiano ora, ritengono più idonea ad intercettare la crisi una definizione più precisa e oggettiva.
L’adeguatezza degli assetti in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa
L’art. 2 comma 1 dello schema di decreto legislativo ha quasi integralmente riscritto l’art. 3 del codice. Il primo comma – dedicato all’imprenditore individuale – è rimasto immutato: «L’imprenditore individuale deve adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte».
Per quanto concerne, invece, l’imprenditore collettivo, viene, in primo luogo, armonizzato il dovere di adeguatezza della struttura amministrativa previsto dalla legislazione della crisi a quello di cui all’art. 2086 del codice civile: «L’imprenditore collettivo deve istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato ai sensi dell’articolo 2086 del codice civile, ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione di idonee iniziative». Non si parla più di «adozione», piuttosto di «istituzione»; non più, genericamente, di «assetto organizzativo adeguato», ma di «assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato».
Particolarmente rilevante è l’introduzione del comma 3 e del comma 4 in tema di rilevazione tempestiva della crisi e segnali di allarme. Anche in questo caso, il legislatore favorisce una individuazione tipizzata e oggettivizzata degli assetti amministrativi che deve istituire l’imprenditore e dei fattori che determinano l’emersione della crisi.
L’imprenditore deve, infatti, creare un sistema di compliance amministrativo-contabile che consenta di «a) rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore; b) verificare la non sostenibilità dei debiti e l’assenza di prospettive di continuità aziendale per i dodici mesi successivi e i segnali di allarme di cui al comma 4; c) ricavare le informazioni necessarie a seguire la lista di controllo particolareggiata e a effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento di cui al comma 2 dell’articolo 13».
Il legislatore, in primo luogo, si preoccupa di proteggere il patrimonio e l’equilibrio finanziario dell’impresa; in secondo luogo, l’indebitamento e la continuità aziendale; infine, richiede un vero e proprio esercizio – «test pratico» – per verificare la ragionevole possibilità del risanamento aziendale.
Costituiscono segnali di allarme, rispetto alle situazioni di crisi che l’imprenditore deve intercettare: «a) l’esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno trenta giorni pari a oltre la metà dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni; b) l’esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno novanta giorni di ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti; c) l’esistenza di esposizioni nei confronti delle banche e degli altri intermediari finanziari che siano scadute da più di sessanta giorni o che abbiano superato da almeno sessanta giorni il limite degli affidamenti ottenuti in qualunque forma purché rappresentino complessivamente almeno il cinque per cento del totale delle esposizioni; d) l’esistenza di una o più delle esposizioni debitorie previste dall’articolo 25-novies, comma 1».
Il legislatore, quindi, non sono ha specificato la funzione degli assetti organizzativi, ma, altresì, ha esplicitato, quelli che – non essendo che meri esempi e non tassative ipotesi – sono i segnali di allarme.
Trattasi di indici arbitrari individuati dal legislatore che, laddove emersi, impongono all’imprenditore di attivarsi senza indugio con gli strumenti previsti dalla legge per fronteggiare la crisi.
Entrata in vigore del Codice
Il decreto legge 30 aprile 2022, n. 36 recante le «Ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza» ha disposto, all’art. 42, l’entrata in vigore del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza il 15 luglio 2022; alla stessa data, ha, inoltre, previsto l’entrata in vigore del Titolo II della Parte prima, dedicato alla composizione negoziata della crisi, alla piattaforma unica nazionale, al concordato semplificato e alle segnalazioni per la anticipata emersione della crisi. Quest’ultimo Titolo – originariamente dedicato alle procedure di allerta – è stato integralmente riscritto, prevedendo il trasferimento e la sistematizzazione delle procedure di composizione della crisi introdotte dal decreto legge 24 agosto 2021, n. 118; quest’ultimo, dopo la conversione in legge, aveva, altresì, previsto l’entrata in vigore del nuovo codice al 16 maggio 2022 e del Titolo II in commento al 31 dicembre 2023.
Ad oggi, quindi, non sono previste ulteriori deroghe e proroghe all’entrata in vigore per il prossimo 15 luglio 2022 del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Va da sé che tutte le procedure concorsuali avviate prima di quella data, resteranno regolate soggette alla legislazione in materia attualmente vigente.