La legislazione penale doganale negli ultimi anni è stata spesso al centro di ampi dibattiti.
Prima, in virtù della depenalizzazione di talune condotte criminose al fine di deflazionare il carico della giustizia penale e, più di recente, con l’inasprimento della portata di cui al D.lgs. 231/2001 che, con l’introduzione del nuovo art. 25 sexsdecies, intende perseguire gli Enti che commettono i reati previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43 (c.d. Testo Unico Doganale, o TULD).
Il TULD, come noto, disciplina il quadro sanzionatorio di riferimento per i casi di sottrazione delle merci dall’accertamento delle imposte dei diritti di confine.
Va da sé, quindi, che anche il novellato D.lgs. 231/2001 andrà letto con particolare attenzione da tutti gli operatori del settore del trasporto, dagli spedizionieri doganali o da quegli enti che, nell’ambito della propria attività di impresa, si interfacciano con queste ultime società.
A comune memoria si rammenta come, ai sensi dell’art. 34 del Decreto Presidenziale sopra menzionato debbano essere considerati “diritti doganali” tutti quei diritti che la dogana è tenuta a riscuotere in forza di una legge, in relazione alle operazioni doganali. Fra i diritti doganali costituiscono “diritti di confine”:
- i dazi di importazione e quelli di esportazione;
- i prelievi e le altre imposizioni all’importazione o all’esportazione previsti dai regolamenti comunitari e dalle relative norme di applicazione;
- per quanto concerne le merci in importazione, i diritti di monopolio, le sovrimposte di confine ed ogni altra imposta o sovrimposta di consumo a favore dello Stato.
Inoltre, come noto, per le merci soggette a diritti di confine, il presupposto dell’obbligazione tributaria si fonda, relativamente alle merci estere, sulla loro destinazione al consumo entro il territorio doganale e, relativamente alle merci nazionali e nazionalizzate, sulla loro destinazione al consumo fuori del territorio stesso.
Il TULD prevede uno diverso schema sanzionatorio differenziando fra “ipotesi semplici” o “ipotesi aggravate” di contrabbando.
Ovviamente, ambedue le ipotesi sono oggi riflesse nell’art. 25 sexsdecies del D.Lgs.231/2001, che testualmente recita:
“In relazione alla commissione dei reati previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, si applica all’ente la sanzione pecuniaria fino a duecento quote.
Quando i diritti di confine dovuti superano centomila euro si applica all’ente la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote.
Nei casi previsti dai commi 1 e 2 si applicano all’ente le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma, lettere c),d) ed e).”
In dottrina la severità dell’impianto penale doganale è stata giustificata dalla necessità di garantire una tutela particolarmente efficace in ragione della delicatezza degli interessi protetti, ragione che ha mosso il legislatore all’introduzione del novero dei reati 231 proprio le fattispecie illecite in commento.
Tale innovazione, infatti, si badi come sia derivata dal recepimento della c.d. Direttiva P.I.F. relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale (2017/1371), sulla base della legge di delegazione europea 2018.
In forza dell’art. 3 co. 1 lett a) del TFUE all’Unione Europea è stata, infatti, attribuita una competenza esclusiva in materia doganale e ciò ha comportato non solo l’abolizione delle frontiere doganali tra Stati membri, ma anche la determinazione da parte della stessa Unione Europea di dazi e di misure di politica commerciale, della tariffa doganale comune e dei regimi doganali oggi noti.
Si osservi, anche ai fini di un eventuale accertamento, che il reato di contrabbando è qualificato come “reato permanente” e ciò non è di scarsa importanza poiché implica che le cose soggette ai diritti di frontiera, per cui non sia stato assolto l’obbligo tributario, sono “permanentemente nella illegittima condizione di evasione a tali diritti” (Cass. Pen., Sez III, sent. n. 2108 del 27 novembre 1997).
La verifica in ordine all’ottemperanza alla normativa in commento, come noto, viene svolta dall’Agenzia delle Dogane e può essere affidato ai militari della Guardia di Finanza i quali, per motivi di sicurezza fiscale, possono intervenire anche in luoghi diversi dagli spazi doganali e da quelli dove si svolgono le operazioni di carico e scarico delle merci.
Il potere ispettivo dell’Agenzia delle Dogane è molto amplio e prevede:
- Ispezioni e verifiche;
- Invito agli importatori/esportatori ad esibire atti o documenti;
- Accertamenti bancari;
- Controlli incrociati con clienti, fornitori o altri soggetti collegati;
- Richiesta alla Pubblica Amministrazione di dati ed informazioni riguardanti il contribuente.
Ebbene.
Per coloro che già conosco la normativa 231 balzerà all’occhio come tutto ciò potrebbe astrattamente impattare anche su una molteplicità di ulteriori ipotesi delittuose punite dalla normativa di settore.
Per chi non ha invece ancora adottato un Modello di Gestione, tale ennesima novità potrebbe indurre a valutarne opportunità e convenienza.
Ancora una volta sarà fondamentale per l’Ente avere dei protocolli serrati nell’interlocuzione con i funzionari pubblici, ma non solo. Sarà ancora più importante per le aziende svolgere un attento processo di qualifica etica e reputazionale dei propri fornitori, onde evitare il coinvolgimento in ancor più complesse vicende legate ai delitti di natura concorsuale puniti da nostro codice penale.
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Data la complessità della materia, sicuramente non facilmente declinabile in questo primo contributo, lo studio rinnova la propria disponibilità per ogni più approfondito confronto all’indirizzo e-mail: segreteria@margiottalegal.it