Con la recente Sentenza n. 428 del 10 gennaio 2019 la Cassazione, Sezione Lavoro, ha affrontato l’impatto che le condotte extra lavorative, ovvero i comportamenti che afferiscono alla vita privata in senso stretto, anche antecedenti all’instaurazione del rapporto di lavoro, possano assumere ai fini del licenziamento per giusta causa.
In particolare, dalla pronuncia in commento emerge come, ai fini del licenziamento per giusta causa, assumono rilievo non soltanto le condotte extra lavorative tenute dal lavoratore in costanza di rapporto ma anche quelle antecedenti all’instaurazione del rapporto di lavoro che vengano apprese dal datore di lavoro successivamente alla stipulazione del contratto e che risultino incompatibili con il ruolo ricoperto dal preposto all’interno dell’azienda e con il grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni allo stesso affidate.
Al fine di comprendere la portata della richiamata pronuncia, occorre prendere le mosse dall’analisi della vicenda de qua avente ad oggetto il recesso intimato, in data 21 luglio 2008, dalla Società Beta S.p.A. al lavoratore Caio.
Preliminarmente, si precisa che il lavoratore Caio era stato riassunto dalla Società Beta S.p.A. in seguito alla dichiarazione di illegittimità di un precedente licenziamento risalente all’anno 2006. Oltretutto, visto che il suddetto licenziamento si fondava su una denuncia penale per frode informatica e per accesso abusivo a sistema informatico, le parti in sede di conciliazione avevano concordato che l’esito del processo penale, per i reati poc’anzi esposti, non avrebbe prodotto alcun effetto sul nuovo rapporto di lavoro.
Con contestazione disciplinare del 15 maggio 2008 la Società Beta S.p.A. si vedeva costretta a sospendere dal servizio Caio perché sottoposto a custodia cautelare e, conseguentemente, ad avviare il procedimento disciplinare in relazione alle condotte oggetto di indagine penale, diverse da quelle di cui al precedente procedimento. In particolare, il lavoratore Caio con la cooperazioni di ulteriori soggetti aveva disposto o, comunque, consentito sgravi indebiti di cartelle esattoriali.
La Corte di Cassazione, con la pronuncia in commento, ha confermato quanto statuito nei due precedenti gradi di giudizio, ovvero che il licenziamento intimato il 21 luglio 2008 dovesse ritenersi legittimo in quanto fondato su nuove condotte tenute da Caio – non conosciute dalla Società Beta S.p.A. e non oggetto del verbale di conciliazione – in epoca antecedente all’instaurazione del rapporto di lavoro.
Tale decisione della Suprema Corte trova origine in un consolidato orientamento giurisprudenziale che ravvisa “una giusta causa di licenziamento ogniqualvolta venga irrimediabilmente leso il vincolo fiduciario che è alla base del rapporto, perché il datore di lavoro deve poter confidare sulla leale collaborazione del prestatore e sul corretto adempimento delle obbligazioni che dal rapporto scaturiscono a carico di quest’ultimo. La fiducia, che è fattore condizionante la permanenza del rapporto, può essere compromessa, non solo in conseguenza di specifici inadempimenti contrattuali, ma anche in ragione di condotte extralavorative che, seppur tenute al di fuori dell’azienda e dell’orario di lavoro e non direttamente riguardanti l’esecuzione della prestazione, nondimeno possono esser tali da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra le parti qualora abbiano un riflesso, sia pure soltanto potenziale ma oggettivo, sulla funzionalità del rapporto e compromettano le aspettative di un futuro puntuale adempimento dell’obbligazione lavorativa, in relazione alle specifiche mansioni o alla particolare attività” (cfr. Cass. Civ. n. 24023/2016 e Cass. Civ. n. 17166/2016).
In altre parole, la giusta causa di licenziamento ai sensi dell’art. 2119 c.c. e dell’art. 1 della L.g. n. 604 del 1966 non si riferisce solamente all’illecito disciplinare ma anche a tutte quelle condotte che, seppure estranee al rapporto lavorativo, sono di per sé incompatibili con il permanere del vincolo fiduciario sul quale il rapporto stesso si fonda.
Prosegue, poi, la Suprema Corte statuendo che in difetto di un preciso regolamento tra le parti (ad esempio un codice disciplinare dettato dalle parti collettive) non si può sostenere che la rilevanza delle condotte extralavorative antecedenti all’instaurazione del rapporto debba essere limitata ai casi in cui via sia una sentenza penale di condanna passata in giudicato che abbia accertato la responsabilità del dipendente.
Secondo la pronuncia in commento, quindi, al di fuori dell’ipotesi di cui sopra trova applicazione l’orientamento, secondo cui “il principio di non colpevolezza fino alla condanna definitiva sancito dall’art. 27 Cost, comma 2, concerne le garanzie relative all’attuazione della pretesa punitiva dello Stato, e non può quindi applicarsi, in via analogica o estensiva, all’esercizio da parte del datore di lavoro della possibilità di recesso per giusta causa in ordine ad un comportamento del lavoratore che possa altresì integrare gli estremi del reato, se i fatti commessi siano di tale gravità da determinare una situazione di improseguibilità, anche provvisoria del rapporto, senza necessità di attendere la sentenza definitiva di condanna; tuttavia, il giudice davanti al quale sia impugnato un licenziamento disciplinare intimato per giusta causa a seguito del rinvio a giudizio del lavoratore con l’imputazione di gravi reati potenzialmente incidenti sul rapporto di fiducia – ancorchè non commessi nello svolgimento del rapporto – deve accertare l’effettiva sussistenza dei fatti riconducibili alla contestazione, idonei ad evidenziare, per i loro profili soggettivi ed oggettivi, l’adeguato fondamento di una sanzione disciplinare espulsiva, mentre non può ritenere integrata la giusta causa di licenziamento sulla base del solo fatto oggettivo del rinvio a giudizio del lavoratore e di una ritenuta incidenza di quest’ultimo sul rapporto fiduciario e sull’immagine dell’azienda” (Cass. Civ. n. 18513/2016 che richiama Cass. Civ. n. 29825/2008).
Alla luce delle motivazioni esposte, la Cassazione rigettava il ricorso proposto dal lavoratore Caio confermando, quindi, la legittimità del licenziamento.
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