La pillola odierna s’incentra su una recente pronuncia della Suprema Corte che esclude dall’imponibilità IVA i corrispettivi dei servizi di trasporto relativi a beni in importazione dallo Stato di San Marino, riprendendo un tema già ampiamente dibattuto.
Con la sentenza n. 9219 del 03/04/2019, infatti, la Corte di Cassazione ha chiarito un rilevante profilo in tema di trattamento Iva su prestazioni accessorie a scambi internazionali.
Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale delle Marche, che ne aveva rigettato l’appello avverso la sentenza di primo grado, che aveva accolto il ricorso della società contribuente per l’annullamento dell’avviso di accertamento, con cui, relativamente all’anno 2003, era stata contestata la dichiarazione di operazioni non imponibili, aventi ad oggetto prestazioni di trasporto di beni in uscita dallo Stato di San Marino ed ingresso nello Stato italiano, e recuperato l’Iva non versata.
Secondo la Suprema Corte il ricorso era infondato.
Secondo i giudici di legittimità, l’art. 9, primo comma, Dpr. n. 633 del 1972 prevede che costituiscono servizi internazionali, o connessi agli scambi internazionali non imponibili, tra gli altri, “i trasporti relativi a beni in esportazione, in transito o in importazione temporanea, nonché i trasporti relativi a beni in importazione i cui corrispettivi sono assoggettati all’imposta a norma del primo comma dell’art. 69”.
Tale ultima disposizione stabilisce che l’imposta è commisurata, con le aliquote indicate nell’art. 16, al valore dei beni importati determinato ai sensi delle disposizioni in materia doganale, aumentato dell’ammontare dei diritti doganali dovuti, ad eccezione dell’Iva, nonché dell’ammontare delle spese di inoltro fino al luogo di destinazione all’interno del territorio della Comunità che figura sul documento di trasporto sotto la cui scorta i beni sono introdotti nel territorio medesimo.
A livello comunitario, tali disposizioni trovano corrispondenza negli artt. 11, B, paragrafo 3, e 14, par. 1, lett. i), della direttiva 77/388/CE del 17 maggio 1977, oggi 86 e 144 della direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006, secondo cui gli Stati membri esentano dall’Iva le prestazioni di servizi connesse con l’importazione di beni e il cui valore è compreso nella base imponibile.
Nelle more, il legislatore nazionale ha inoltre approvato una disposizione, inserita, quale comma 4-bis, all’art. 9, Dpr. n. 633 del 1972, secondo cui costituiscono servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali non imponibili “i servizi accessori relativi alle piccole spedizioni di carattere non commerciale e alle spedizioni di valore trascurabile di cui alle direttive 2006/79/CE del Consiglio, del 5 ottobre 2006, e 2009/132/CE del Consiglio, del 19 ottobre 2009, sempreché i corrispettivi dei servizi accessori abbiano concorso alla formazione della base imponibile ai sensi dell’articolo 69 del presente decreto e ancorché la medesima non sia stata assoggettata all’imposta”.
Tanto premesso, la Cassazione rileva dunque che, in una situazione quale quella in esame, in cui non era controverso che il corrispettivo della spedizione fosse stato incluso nella base imponibile della prestazione principale, contestando l’Ufficio solo la mancata separata indicazione dello stesso, non sussistevano ostacoli al riconoscimento dell’esenzione dall’Iva.
In linea generale, si evidenzia comunque che una prestazione può essere considerata accessoria ad una prestazione principale quando non ha per colui che la riceve, un’autonoma utilità, ma costituisce il mezzo per fruire del servizio principale offerto dal prestatore.
Per valutare l’accessorietà di una operazione occorre, quindi, che intercorra un nesso di funzionalità necessaria, nel senso che la prestazione che si ritiene accessoria deve assumere una posizione subordinata rispetto a quella principale.
Lo studio legale Margiotta, in persona degli Avv.ti Germano Margiotta e Mario Cocuzza, resta a disposizione per gli approfondimenti del caso.