La Sesta Sezione penale della suprema Corte, recentemente, ha esaminato una vicenda giuridica molto complessa, sia per il numero di soggetti convolti, sia per le questioni giuridiche affrontate.
Con l’intento di offrire al lettore alcuni spunti sul tema, sembra opportuno stigmatizzare le conclusioni raggiunte dal Collegio con la sentenza n. 41768/2017, visti i risvolti attesi sul piano pratico.
a) Sulle intercettazioni
La Corte ha stabilito che nel procedimento relativo agli illeciti amministrativi dipendenti da reato, i risultati desumibili dalle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni ordinate per il reato presupposto sono utilizzabili per accertare la responsabilità dell’ente.
In particolare, pur sussistendo una distinzione tra il reato presupposto e l’illecito amministrativo dipendente da esso, è innegabile l’esistenza di una stretta connessione sotto il profilo oggettivo, probatorio o finalistico, tra il contenuto dell’originaria notizia di reato alla base dell’autorizzazione e quello dell’illecito amministrativo dipendente dal reato.
È quindi indiscusso che le disposizione del codice di procedura penale in materia di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni si applichino anche nei confronti degli enti, in relazione al disposto degli artt. 34 e 35 del d. lgs. n. 231/2001, i quali prevedono rispettivamente il primo la generale applicabilità, nei procedimenti relativi agli illeciti amministrativi dipendenti da reato, delle disposizioni del codice di procedura penale in quanto compatibili, il secondo l’applicabilità all’ente delle disposizioni processuali relative all’imputato.
b) Sul modello Iso 9001 e modello Deloitte
La Corte, esaminando il tema dell’insussistenza del modello organizzativo n. 231/2001 ha osservato che “a tale categoria non potessero ricondursi né modelli aziendali ISO UNI EN 9001, preesistenti alla commissione dei reati in contestazione, né il modello c.d. Deloitte, adottato nel dicembre 2003, e, quindi, in ogni caso, in data successiva alla data di commissione del reato presupposto”.
Nel dettaglio, “i modelli aziendali ISO UNI EN 9001 non possono essere ritenuti equivalenti ai modelli richiesti dal d. lgs. n. 231 del 2001, perché non contenevano l’individuazione degli illeciti da prevenire unitamente alla specificazione del sistema sanzionatorio delle violazioni del modello e si riferivano eminentemente al controllo della qualità del lavoro nell’ottica del rispetto delle normative sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro o degli interessi tutelati dai reati in materia ambientale”; la Corte Suprema ha poi osservato che “il modello cd. Deloitte non solo sia stato adottato in data successiva (cioè dicembre 2003) a quella di commissione dei reati presupposti, “ma non conteneva, tra l’altro, né il codice di comportamento e le relative procedure, né il codice etico, né le procedure per la conoscenza dei modelli, né il sistema sanzionatorio”.
Pertanto sono stati respinti alcuni ricorsi, i quali, tra l’altro, si fondavano sulla prospettazione di una equivalenza funzionale del sistema di gestione della qualità ISO 9001 con il vero e proprio Modello 231.
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Sebbene la sentenza richiamata abbia esaminato ed eviscerato una molteplicità di questioni giuridiche, si è scelto di offrire un focus sugli ambiti di maggiore incidenza sul piano pratico, presumendo che questi rappresentino gli aspetti di maggiore interesse per le Società e per gli obblighi su esse incombenti.
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